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Il Vangelo della domenica

 

Arcidosso (GR) Chiesa di San Nicolò

San Nicola è il patrono di Arcidosso, si festeggia il 06 dicembre.

Sorta dentro la prima cinta delle mura, "sotto l'antica rocca" come ricorda il Repetti, è probabilmente la Chiesa più antica di Arcidosso. Una bolla del Papa Celestino II del 1143 - ed è questo il documento più antico che possediamo - ricorda l'Ecclesiam S. Nicolai de Archidossu, come dipendente del Monastero di Abbadia San Salvatore. Ma sulla Chiesa esercitò particolari diritti il Vescovo di Chiusi, come documenta una Bolla di Papa Onorio III del 1218.
Fu infine Papa Clemente XIV con Bolla del giugno 1772 che assegnò la Chiesa di San Niccolò, unitamente a quelle di San Leonardo e Sant'Andrea, alla Diocesi di Montalcino.
Plebania fin verso la metà del Settecento, divenne poi, ed è tuttora, Arcipretura.

San Nicola di Bari, che Pietro Bargellini dice «il San Francesco dell'Alto Medioevo, grazie ai suoi miracoli di delicata carità» visse in Licia, nell'Asia Minore sotto il regno dell'imperatore Costantino. Al tempo delle invasioni turche le sue reliquie furono portate a Bari, dove sono conservate nella cattedrale. Ma la fama del Santo Protettore della nostra parrocchia è universale. Ed a lui si richiama la popolare figura di Babbo Natale, il cui cappuccio di pelliccia ricorda la mitra vescovile in fatti San Nicola fu Vescovo di Myra. E Santa Claus - il Babbo Natale della tradizione nordica - non è altri che Nikolaus; San Niccolò.
Protettore anche dei marinai e degli scolari, è venerato per la sua carità soprattutto verso i più deboli. (E Dante ricorda la dote di Lui gettata di nascosto nella casa di tre povere fanciulle). Ed è in questa luce di carità che lo ha visto e rappresentato il pittore Mori nell'affresco che adorna la nostra Chiesa.

I tre affreschi, opera di Marcello Mori, di Castelfiorentino, svolgono, in tre diversi momenti, un unico discorso il cui motivo fondamentale è il protendersi dell'uomo verso Dio. Il primo, anche in ordine di tempo, degli affreschi, prende spunto dalle parole introduttive di Matteo al discorso delle parabole: Gesù, uscito di casa, essendosi raccolta numerosa folla intorno a lui, sale sulla barca e parla alla folla rimasta sulla riva. È lo spunto dal quale il Mori trae il suo racconto, in una narrazione distesa e cromaticamente variata, nella quale la partecipazione della natura alle parole del Maestro trova risalto in un movimento circolare che, partendo dal volo impetuoso dei gabbiani, si risolve nella figura del Cristo.
Ma il centro della narrazione è nelle tre figure centrali, nelle quali la tensione interna è espressa attraverso la forza del disegno; figure drammaticamente umane, in contrasto con la lievità cromatica della narrazione, tutte rivolte e ciascuna in misura diversa, al divino. Il discorso continua nell'affresco ispirato alla moltiplicazione dei pani: qui il paesaggio si fa più arioso, la tensione si attenua. E non è difficile avvertire in quel paesaggio una lezione toscana - ed antica - ma assimilata in modo personale. La narrazione si esprime attraverso il colore ed il movimento; che è poi la partecipazione stessa della natura, mentre le figure umane rimangono come attaccate alla terra, in questo protendersi dell'umano al divino, che è anche lotta e sbigottimento.
Il tema pasquale del terzo affresco porta a compimento il discorso: se nel primo è il contatto con la parola di Cristo, e nel secondo la partecipazione sbigottita e commossa al miracolo, qui la resurrezione di Cristo si riflette su una natura sconvolta, protesa tutta verso l'alto: ed è la voce di un'umanità che in Cristo ha ritrovato se stessa, di una fede che è lotta interiore e dramma. Ma un dramma rasserenato nel significato interiore del colore.

 

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Autore : a.c. - Al tempo, nel 2004, notizie fornite dal parroco Don Franco Serri

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